Giovanni Cappello

02Giovanni Cappello, nato a Carmagnola il 5 maggio 1953

“Le fotografie mostrano, non dimostrano.”
[Ferdinando Scianna]

Ho preso in mano la mia prima macchina fotografica a quindici anni. Si trattava di una Ricoh 500G a telemetro. Fin dall’inizio è stata passione. Con un amico più grande ho cominciato a stampare in bianco e nero le mie fotografie, in una camera oscura volante, allestita al momento. Quante ore notturne! Poi è venuto il momento della Nikkormat e del 50 millimetri. Fotografavo tutto quello che mi passava davanti, senza grande qualità purtroppo. Mi piaceva inquadrare e scattare. Il resto aveva allora poca importanza. Si trattava più di amore del fotografare che della fotografia.

Quando, dopo qualche anno, la vita famigliare e l’arrivo di tre figli mi hanno impedito la possibilità di stampare in casa – per ovvi motivi – mi sono limitato alle fotografie delle vacanze.

Nel 2006, dopo ostinate resistenze e dubbiosi tentennamenti, sono riuscito a emigrare verso il digitale (una Nikon D50) e mi si è riaperto il mondo della camera oscura che avevo perduto e che stavo melanconicamente rimpiangendo. Il digitale me la ridava sul computer. Photoshop era la nuova camera oscura. E si poteva finalmente di nuovo fotografare e lavorare su quello che fotografavo: ritagli, luce, contrasto, esposizione…

Ma quello che ha cambiato davvero la mia vita di fotografo amatoriale è stato l’incontro, voluto dall’amico Nicola, con i soci del Circolo Fotografico “La Fonte” di Carmagnola. Fino ad allora avevo vissuto la fotografia come un fatto personale e mi ero perso una delle cose fondamentali di qualunque passione: la possibilità di crescere. Il confronto, a volte anche duro, ma sempre incoraggiante, con gli altri soci del Circolo mi ha permesso di capire moltissime cose di cui manco sospettavo l’esistenza. Soprattutto mi ha permesso di mettere a fuoco il mio stile, di dargli una caratterizzazione e di perfezionarlo.

La fotografia per me è un modo di leggere la complessità del mondo e raccontarla con la massima semplicità possibile. I gesti, gli sguardi, i movimenti, gli incontri, i sogni, i dolori, i sentimenti delle persone sono ciò che m’interessa cogliere, tradurre e presentare. Con la luce e la composizione cerco di scrivere immagini semplici, reali, quotidiane. Quello che si vede solo tra le pieghe della realtà, dietro gli angoli, nascosto nell’ombra delle vite di stenti, esibito nella gioia di momenti di festa, quello che si coglie da un atteggiamento del viso o delle mani, tutto questo è il testo che cerco di raccontare. Quando ci riesco, quando mi assiste anche la fortuna e mi premia il coraggio. Fortuna e coraggio di osare devono trovare posto nella borsa fotografica, insieme agli obiettivi più luminosi che ci si può permettere.

Come ebbe a dire Gyula Hàlàsz, detto Brassaï, la fotografia non insiste, non spiega e soprattutto il fotografo non inventa nulla: suggerisce e immagina. Ecco quello che cerco di fare nel mio piccolo, suggerire a bassa voce differenti modi di vedere e aiutare a immaginare ciò che non sempre è visibile.

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